Primi anni ’90. Mentre nel resto d’Italia è quasi totalmente sconosciuto, il paddle vive fra la Romagna e il Triveneto un periodo florido grazie alla passione e all’energia spesa da un gruppo di giocatori coadiuvati della FIGP (Federazione Italiana Gioco Paddle) di Daniel Patti.
Non vi è ancora un riconoscimento ufficiale da parte del CONI, ma gli sforzi di questa realtà, supportata da alcuni circoli e associazioni soprattutto bolognesi, sono tutti tesi a farlo conoscere nel Belpaese
I tornei così come i campionati sono condizionati però dal clima: poiché i campi non sono al coperto, si gioca quasi esclusivamente con il bel tempo. Ma, nonostante la stagione agonistica così “compatta”, non mancano per i giocatori italiani le occasioni di farsi conoscere all’estero.
A un anno dalla costituzione della FIGP, infatti, arriva il tanto atteso battesimo del fuoco. Ci troviamo nell’assolata Siviglia, è settembre e i vicoli della città spagnola sono animati da una giungla di persone che parlano lingue diverse. Sono i mesi dell’Expo e il tema, quasi fosse uno strano scherzo del destino, è “L’era delle scoperte”. In mezzo ai tanti campeones c’è anche uno sparuto gruppo di atleti azzurri. Per loro è l’esordio al Mondiale di paddle a squadre organizzato da Siviglia e Madrid. Siamo nel 1992, le Olimpiadi di Barcellona si sono appena concluse con la vittoria della Squadra Unificata (ex Paesi satelliti dell’URSS) e l’Italia è travolta dall’inchiesta Mani Pulite. Ma sono echi, anche lontani, per gli azzurri impegnati sul suolo iberico: chiuderanno l’esperienza all’ottavo posto.
Due anni più tardi l’Italia vola a Mendoza, in Argentina, per disputare una nuova edizione del mondiale di paddle. Sull’aereo si trova anche un giovane Mauro Zanzi, riserva del team azzurro. “Al Mondiale non andarono tutti i giocatori più forti – ricorda Mauro Zanzi, all’epoca consigliere del Direttivo della Federazione – perché i costi di trasferta erano elevati e non godevamo all’epoca di rimborso spese”. “Cercammo comunque di mettere in piedi un team che non sfigurasse”. Nella tana del lupo l’Italia conquisterà un nono posto.
Durante la massima competizione internazionale Zanzi non scenderà mai in campo se non per arbitrare una partita tanto delicata quanto nervosa, la semifinale femminile fra Uruguay e Brasile. L’Uruguay da favorita perde il primo set. “Gli animi si accesero all’inizio del secondo: contestazioni su ogni punto, imprecazioni dei tecnici e tribune febbricitanti pronte a esplodere”. Un inferno per il giudice italiano costretto a sospendere più volte l’incontro.
A parte le brevi esperienze internazionali, il paddle in Italia è al suo stato embrionale. Pochi i campi, principalmente in legno, e difficile organizzare una partita. “Ci buttammo comunque a testa bassa – racconta il fac totum romagnolo – Ci facevamo mandare videocassette tutorial e racchette in grafite e gomma (non più di legno) dall’Argentina”.
La svolta arriva quando Zanzi incontra un maestro argentino, Gustavo De Bunder, “partito da Rosario con la racchetta da padel in valigia, convinto che anche in Italia si giocasse”. Ad aspettarlo, però una realtà tanto diversa quanto amara.
Un giorno i due si incontrano per caso in un bar di Milano Marittima. De Bunder si innamora del campo in cristallo del Beach Padel Club di Zanzi e si offre di insegnare il paddel in Riviera. È un piccolo ma importante successo perché smuove le coscienze di curiosi, maestri di tennis e (futuri) agonisti.
Passano gli anni e si evolvono campi e racchette. Grazie alle competizioni internazionali gli azzurri hanno la possibilità di conoscere e acquistare nuove racchette in materiali tecnologicamente più avanzati. “All’inizio era davvero tosto giocare a paddle – ci racconta Mauro Zanzi – perché, oltre alle racchette e ai campi in legno, utilizzavamo palline da tennis come le Tretorn, dei macigni”.
Tra il 1994 e il 1995 i circoli cominciano a sostituire i campi in legno con campi in cristallo o vetro e muratura. Il gioco diviene più veloce e reattivo. “La parete in legno smorzava forza e traiettoria della pallina: per questo giocavamo tutti attaccati al fondo”.
Gli sforzi della Federazione di promuovere il paddle in Italia trovano il giusto coronamento nel luglio del 1995, quando organizzano a Milano Marittima il Campionato europeo a squadre. Quattro giorni intensi che confermarono la bontà e l’utilità del lavoro portato avanti dai pionieri italiani del padel. “Fu una festa più che una competizione perché i team abbinarono insieme vacanza e sport”, spiega Zanzi che poi ricorda: “La nazionale francese arrivò a Milano Marittima con sei ore di ritardo, alle 11 di sera. Ci chiese di poter vedere il campo, attaccato a un camping. Ai giocatori si illuminarono gli occhi e chiesero di giocare subito: alla fine si allenarono fino alle 2 di notte”.
Uno strappo alle regole che contribuì ad alimentare un clima di amicizia e cordialità. “Ricevemmo dalle federazioni le congratulazioni per l’organizzazione e la logistica” e, scommette l’organizzatore romagnolo, “sono sicuro che tuttora ne conservino un bel ricordo”. Con i due terzi posti sia nel maschile sia nel femminile, per la Romagna si chiude la prima fase di un’emozionante favola iniziata quattro anni prima. Un po’ per caso e un per gioco, proprio come è accaduto tre anni fa, quando anche Roma fu consacrata al padel.