Dopo una stagione florida e ricca di soddisfazioni, sul finire degli Anni ’90 il paddle in Italia conosce una battuta d’arresto. La popolarità di questo sport, che in Sud America e in Spagna continua a tenere banco, si avvia lentamente – e quasi inesorabilmente - verso il declino. Diminuisce il numero di giocatori e falliscono i tentativi di attirare le attenzioni del grande pubblico: a nulla serve costruire nuovi campi o rendere i vecchi itineranti spostandoli di zona in zona, di circolo in circolo.
Sembrano solo echi lontani le vittorie ai campionati internazionali, le trasferte per difendere il tricolore o le fatiche (poi ripagate) per organizzare e ospitare i campioni stranieri. Di quelle emozioni è rimasto poco
Se il paddle vive uno dei suoi periodi più bui, in compenso cresce la febbre da calcetto: tutti vogliono indossare le divise dei propri beniamini e sfidarsi in cinque contro cinque. Per i circoli è il calcetto la vera miniera d’oro: sport accessibile a chiunque, campi sempre prenotati, dieci quote garantite per maggiori introiti, costi di manutenzione ridotti all’osso. I gestori hanno trovato la loro El Dorado.
Anche per uno come Mauro Zanzi, giocatore-imprenditore lungimirante che contribuì in maniera importante alla prima diffusione del padel in Italia, arriva il momento di deporre le armi. Siamo nel 2000, l’anno del Millennium Bug e della temuta fine dell’era tecnologica. Parallelamente, quasi fosse uno scherzo del destino, in un circolo sperduto nella campagna romagnola, vicino a Fusignano, Zanzi e altri tre amici giocano a paddle: per loro quella sarà l’ultima partita per molti anni a venire.
Passano le stagioni e di padel si parla pochissimo, quasi fosse divenuto uno di quegli sport che alcuni Paesi come l’Afghanistan proibiscono tuttora. A Roma, però, qualcosa accade. Un pugno di circoli temerari, come Aniene e Le Molette, lo scoprono e iniziano a spingerlo. Siamo nella seconda decade del 2000. Il passaparola ha una potenza di fuoco spaventosa: a Roma Nord crescono strutture e circoli, alcuni specializzati soltanto nel paddle come il Padel Tennis Roma Club di via Due Ponti. Grazie all’impulso dato da Roma e dalla FIT il paddle oggi vive una seconda giovinezza: settimana dopo settimana si sta espandendo in tutte le regioni d’Italia. “Non esistono limiti al padel perché può essere vissuto come momento socializzante (è davvero un’attività semplice da praticare a livello amatoriale) o come vera e propria disciplina sportiva”, ci racconta Mauro Zanzi.
“Sono stato felicissimo di essere stato uno dei pionieri”, confessa Zanzi, “perché vuole dire che la mia era una scommessa vincente”. “L’interesse che sta suscitando oggi mi riempie d’orgoglio: non è stato tutto tempo perso perché noi sulle potenzialità di questo sport ci abbiamo sempre creduto e investito”.
Rispetto ai primi Anni ’90 oggi i tempi sembrano essere più maturi, cresce l’entusiasmo di giocatori e neofiti e si sta consolidando un movimento che coinvolgerà piano piano tutte le regioni d’Italia. Ne è convinto lo stesso Zanzi che puntualizza: “Ora è il momento di sviluppare anche la mentalità agonistica, dobbiamo recuperare terreno rispetto alle altre nazioni”. Per centrare l’obiettivo, però, “è necessario investire nei giovani e nelle scuole di paddle”. Chi oggi gioca a paddle a livello agonistico proviene dal mondo del tennis e non è più “giovincello”. Servono, in definitiva, nuove leve.
Il futuro per il paddle è roseo grazie anche a una delle sue più spiccate qualità: la socialità insita nel suo DNA. “In Argentina e negli altri Paesi dove è regolarmente praticato – ci spiega Mauro Zanzi – i circoli di padel svolgevano e svolgono tuttora una funzione aggregante e sociale”.
Oggi i campi crescono a ritmi vertiginosi e per la loro costruzione ci si affida a istallatori professionisti. Tornando però indietro di vent’anni, all’inizio della storia del paddle in Italia, molte strutture erano realizzate “artigianalmente”. “Allora avevamo a disposizione lastre di vetro 2x1 metri rispetto a quelle odierne di 3x2 metri”, ricorda sorridendo Mauro Zanzi. “Poi andavamo a cercare dal carrozziere le ventose, il compressore da un rivenditore. Insomma tutti mezzi di fortuna, ma per giocare a paddle eravamo disposti a ben altro”. E ride di gusto.
Loro, i precursori o pionieri del paddle, erano un gruppo affiatato, appassionato e matto per il paddle. “Partite interminabili, sia che piovesse sia che nevicasse”, ricorda Zanzi. In caso di pioggia tiravano fuori, come per magia, spazzolone per asciugare il campo e tiracqua per pulire i vetri. E poi giù, a giocare fino alle 3 di notte come se per loro il sole non dovesse sorgere più. Ma questa si chiama passione o, più semplicemente, questo è il paddle.